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NEWS

ALMANACCO BIANCOBLU'

 

NEL GIORNO DEL RICORDO DEGLI ESULI ISTRIANO-DALMATI, DEL DRAMMA DELLE FOIBE E DELLE CONSEGUENZE, L'ESODO. UN PICCOLO OMAGGIO AI TANTI GIOCATORI ISTRIANO-DALMATI CHE HANNO VESTITO CON GRANDE ONORE ED ORGOGLIO LA MAGLIA BIANCOBLU', CONTRIBUENDO IN MANIERA DETERMINANTE A FAR NASCERE IL MITO DEI TIGROTTI
 

 




Per anni l’Italia, ha fatto finta di dimenticare di aver subito una pulizia etnica. Appare inverosimile, oggi, ai nostri occhi, ma la verità sulle foibe e sull’esodo degli italiani di Istria e Dalmazia, perseguitati prima dai partigiani comunisti jugoslavi dell’Armata Popolare di liberazione, e poi ancora durante l’occupazione della nuova Jugoslavia del maresciallo Tito, è stata taciuta, omessa, rimossa sia dai libri di scuola sia dagli organi di informazione. Anche al giorno d'oggi molti, troppi non ne conoscono la vera storia ed ignorano cosa è successo.
Non se ne doveva e non si poteva parlarne, c'era omertà, c'era paura ed è stato così fino alla fine degli anni 90'. E c'è gente che ancora oggi, nega tutto questo senza provare vergogna.
 
La maggior parte degli italiani non sapeva di aver subito una pulizia etnica, non erano a conoscenza che migliaia di loro connazionali fossero stati giustiziati e poi seppelliti in cave carsiche (foibe) o in cave di bauxite.
Un orrore tenuto nascosto per insabbiare la complicità di altri italiani: i partigiani comunisti del triveneto e il PCI stesso, in primis il segretario di partito Palmiro Togliatti.
Per oltre 60 anni i profughi giuliano-dalmati hanno atteso che fossero legittimati i loro diritti,  grazie ad una legge, la 92 del 30 marzo 2004 che oltre a concedere un riconoscimento ai coniugi e ai parenti degli infoibati, individua nel 10 Febbraio la data del giorno del ricordo, in memoria delle vittime delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata.

Le cifre sono impietose oltre 350.000 profughi, tantissimi i morti ammazzati ed infoibati, almeno 50.000 di cui pochi identificati.
Un vero e propri eccidio effettuato dal regime comunista jugoslavo e non solo, ai danni di migliaia di italiani colpevoli di vivere in quella terra. Terra da sempre per storia, cultura e tradizioni italiana.
Ora che il muro di omertà si è finalmente infranto, le migliaia di italiani infoibati, uccisi nei campi di prigionia jugoslavi, durante la deportazione, costretti a lasciare le loro terre, dove erano presenti da migliaia di anni, possono essere finalmente ricordati e onorati come meritano.
 

    

 
Tra i tanti profughi istriano-dalmati, molti sono stati gli sportivi, spiccano i nomi di Mario Andretti (da Montona d'Istria), campione del mondo di Formula 1 con la Lotus, più volte pilota Ferrari e vincitore ad Indianapolis. Quello dello stilista Ottavio Missoni (campione mondiale universitario sui 400 metri, campione italiano e alle Olimpiadi di Londra 48), Abdon Pamich (marciatore e portabandiera italiano alle Olimpiadi di Monaco 72), Nino Benvenuti, il pugile italiano più famoso di sempre, i velisti Agostino Straulino (figura a dir poco leggendaria della vela italiana), Nicolò Rode (campione Olimpico e Mondiale), il tennista Orlando Sirola...

Tante anche le personalità del mondo della cultura e dello spettacolo, passando dagli scrittori Giovanni Arpino, Quarantotti-Gambini, Fulvio Tomizza ed Enzo Bettizza, a Rossana Rossanda (giornalista, scrittrice e co-fondatrice de Il Manifesto), Anna Maria Mori (giornalista e scrittrice), Vera Squarcialupi (giornalista), Adriano Sansa (magistrato ed ex Sindaco di Genova). Le attrici Alida Valli e Laura Antonelli, il coreografo Gianni Brezza, il tenore Mario Carlin, Alfio Krancic (vignettista), il cantautore Sergio Endrigo, all'attore show-man Umberto Smaila, Sergio Marchionne, per finire a Uto Ughi che da sempre risiede a Busto Arsizio.
 
Spazio particolare merita il calcio istriano-dalmata, con le storiche e gloriose formazioni del GrionPola e della Fiumana. I calciatori provenienti da quelle zone, per anni sono stati campioni celebrati del torneo italiano, su tutti spicca il fiumano Ezio Loik, una delle colonne del Grande Torino. Gli attaccanti Rodolfo "sciabolone", Volk (Fiorentina, Roma, Triestina) e Antonio Vojak (Lazio, Juventus, Napoli, Genoa, Lucchese e Nazionale), il primo da Fiume il secondo da Pola. L'elenco è lunghissimo, tra gli altri comprende Carpenetti, Ispiro, Mihalich, Lucio Mujesan, Ostromann, Rimbaldo, Udovicich, il portiere Franco Sattolo e quel grande scopritore di talenti che rispondeva al nome di Sergio Vatta.

 



La Pro Patria e Busto Arsizio, hanno un forte e stretto legame con la comunità istriano-dalmata, che nasce dagli inizi degli anni 20' proprio al tempo del primo esodo da Istria e Dalmazia.

Alla fine degli anni 50' a Borsano, venne edificato appositamente un complesso di palazzi, per ospitare i profughi che si salvarono e che dovettero subire un lungo calvario, tra campi profughi di fortuna e accoglienze non sempre calorose.
Proprio su indicazione degli esuli degli anni 20', arrivò il primo giocatore fiumano a vestire il biancoblù, fu Mario Varglien (calciatore come il fratello Giovanni), nome da leggenda del calcio italiano, vincitore di cinque scudetti con la Juventus e nella rosa della Nazionale che vinse il Mondiale del 34, poi allenatore di Como, Pro Patria e Roma.
Arrivò dalla Fiumana nel 1927, trovando impiego anche in una banca bustocca, per passare in bianconero la stagione successiva, in cambio dell'attaccante Mario Bonivento (48 presenze e 18 reti in biancoblù), da Pola. Giocatore che con gli altri bustocchi doc, proprio in quegli anni, contribuì a far nascere la leggenda dei Tigrotti. 
Nello stesso periodo passò per Busto Arsizio, Giovanni Varglien che si appoggiava al fratello, ma non vestì il biancoblu. Transitarono anche Antonio Vojak e Rodolfo Volk, compagno di squadra alla Fiumana di Mario Varglien. Entrambi furono vicini a passare alla Pro Patria, più il primo che il secondo, il quale poi si stabilì in zona, allenando Luino, Solbiatese, Gallaratese e Varese. 

 

 

        

    Mario Varglien                               Mario Bonivento


Altro a cui si deve l'appellativo di Tigrotti
 è "il centravanti di ferro" Andrea Kregar da Fiume (con la maglia della Pro, tre stagioni 61 presenze e 15 reti), con lui in squadra anche il fratello Rodolfo. Una dinastia continuata poi con Aldo, figlio di Andrea, per anni nel settore giovanile biancoblù. Bonivento, Kregar con Reguzzoni formarono per diverse stagioni l'attacco mitraglia della Pro Patria, nella massima serie.

Con i Kregar, scendeva in campo un altro fiumano Nicolò Giacchetti. Per lui due stagioni in biancoblù, nel campionato di Divisione Nazionale, per un totale di 34 presenze. Chiude l'esperienza con la Pro, il 20 gennaio 1929 quando, dopo aver colpito l'arbitro Gama, protagonista di un arbitraggio contestatissimo, viene squalificato per un anno.



Pro Patria 1927-28, i tre fiumani in biancoblù, Giacchetti, Kregar, Varglien

 


               Andrea Kregar

Negli anni Cinquanta,
 sempre appoggiati dalla locale comunità giuliano-dalmata, fu la volta poi dei vari Mandic, Gimona, Belcastro e Vidal, quest'ultimo con una storia particolare. Esule istriano degli anni 20, nato come Ernesto Servolo a Buie, oggi in Croazia, si rifugiò in Argentina, quindi in Uruguay dove venne naturalizzato e prese in cognome di Vidal.
Come ala sinistra giocò nel Penarol e con la Nazionale uruguaiana, con cui vinse il titolo di Campione del Mondo del 1950, in casa del Brasile; protagonista di tutto il torneo, saltò per infortunio la  storica finale. In Italia vestì le maglie di Fiorentina e della Pro Patria. Singolare anche il destino in biancoblù, una sola presenza con un grave infortunio che gli fece chiudere la carriera anzitempo.

 
Aredio Gimona da Isola d'Istria, centrocampista tecnico, giocò nella Pro Patria nella stagione 1955-56, totalizzando 23 presenze. In carriera ha totalizzato complessivamente 285 partite e 21 reti in Serie A. Con la maglia della Nazionale italiana Gimona ha esordito l'11 novembre 1951 nella partita Italia-Svezia 1-1 ed ha preso parte al torneo olimpico del 1952. Disputando tre partite, segnando altrettante reti, tutte nell'incontro olimpico Italia-Stati Uniti 8-0, disputato a Tampere. Partita in cui come centravanti giostrava il tigrotto La Rosa.
Oliviero Belcastro altro fiumano, fu nella rosa della Pro a vario titolo, per ben cinque stagioni, dal 1951 al 57, totalizzando 51 presenze con quattro reti, tra Serie A e B.
 


                                  

   Areido Gimona                                        Oliviero  Belcastro                                  Ernesto Servolo "Vidal"

 

Storia particolare quella del jolly difensivo Alfio Mandich (Fiume, 9 ottobre 1928 – Genova, 11 gennaio 2006).
Inizia nella Fiumana, quindi nel Radnik, per passare poi per Torpedo e Locomotiva Rijeka. Nel 1948, con l'esodo fiumano, finì nel campo profughi di Laterina in provincia di Arezzo, dopo un lungo viaggio in treno. 
A Laterina, trova il mister Oliviero Serdoz (fiumano ex di Padova, Cremonese e Fiorentina), che lo portò a giocare a Merano, dove la squadra era formata da 6/11 da profughi fiumani: oltre ad Alfio Mandich, troviamo Morsi, i due fratelli Ippindo, Flaibani e Miletich.
Segnalato dalla folta comunità istriano-dalmata presente a Busto Arsizio, nel campionato 1949-50, vestì la maglia della formazione riserve della Pro Patria in Serie A. Nella stagione successiva passò in prestito al Varese, dove rimane un biennio, mettendosi in mostra, con uno dei prospetti più interessanti.
Nel campionato 1952-53 si trasferì ancora in prestito, questa volta al Toma Maglie, insieme al portiere friulano Eldino Danelutti, compagno di squadra alla Pro. Fece ritorno a Busto a fine stagione, con i biancoblù scesi in Serie B, raccogliendo sette presenze. 
In seguito passò all'Empoli in Serie C, dove giocò due stagioni, prima di essere ceduto al Siena del Presidente Nannini, mentre lui voleva passare al Genoa, che l'aveva richiesto insistentemente, anche perchè sotto la Lanterna viveva la madre.
Sfumata la possibilità di trasferirsi al Genoa, si ritira dal calcio giocato, stabilendosi nel capoluogo ligure. Per decenni è stato un membro attivo delle associazioni degli esuli istriani.
 
 

Altra storia particolare è quella di Edoardo Mandich, nessun grado di parentela con Alfio. Nasce a Fiume il 28 febbraio 1924, dunque quando la città è ancora italiana. Il gioco del calcio gli piace fin da piccolo, e la particolarità di essere ambidestro. Dalla sua già da adolescente ha anche un tiro potente, grande resistenza in campo, visione del gioco decisamente di rilievo.

Grazie ai tanti esuli istriani a Busto Arsizio, il suo nome viene fatto alla Pro Patria, allora in Serie B. La società biancoblù ne intravede subito il talento e lo tessera immediatamente per la squadra giovanile a 18 anni. Sta per esordire in prima squadra, quando arriva la cartolina che gli ordina di presentarsi immediatamente a Venezia per essere arruolato nella Regia Marina. In quello stesso momento capisce che la sua carriera sportiva è stroncata prima ancora di iniziare.

L’8 settembre, giorno della firma dell’armistizio, per Mandich, inizia la tragedia. La Gestapo lo sorprende mentre è in giro per Venezia e, dopo qualche settimana di carcere, viene deportato nel lager di Hildesheim, in Bassa Sassonia. È giovane, è muscoloso: lo mettono subito a lavorare nella Zuckerraffinerie, dove dallo zucchero si estrae la glicerina che serve a fabbricare esplosivi. Dodici ore di lavoro al giorno, per sei giorni alla settimana. Nel lager si innamora di una diciottenne polacca, prigioniera anche lei, che non parla una parola di italiano.

Un attacco aereo alleato distrugge la Zuckerraffinerie nel marzo del 1945. Mandich insieme ad altri, cerca di rubare un po’ di zucchero per calmare la fame. Le SS lo vedono e picchiano a sangue. Quattro giorni dopo, 200 italiani sorpresi con lo zucchero vengono impiccati sulla pubblica piazza davanti agli occhi dei loro compagni, come monito per tutti gli altri.

Il 7 aprile arrivano gli americani. Edoardo collabora a costruire un ospedale da campo, poi, sposata in fretta Marianna, riesce a fuggire in Italia su una tradotta militare, per arrivare a Campello sul Clitunno, in Umbria, vicino a Spoleto, dove vive la sorella di Edoardo. La coppia è poverissima, ma si dà da fare. Lei trova lavoro in un albergo, lui ricomincia a giocare nel Pontefelcino.

Le condizioni fisiche dell’ex promessa del calcio sono pessime. Il lavoro coatto e la malnutrizione l’hanno fiaccato, dei muscoli di una volta non resta traccia. Sono necessari due anni di allenamento perché riesca a tornare in forma, e allora firmerà con l’Unione Sportiva Lavoratori di Narni. Lo chiamano Il Principe” per la correttezza e lo stile in campo. Dal 1949 al 51, giocherà nella Ternana e poi nella Narnese, squadra di cui diventa capitano, e dove nel 1953, chiude la carriera a 29 anni. Si spegne nell’agosto del 1998.

 

 

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